di CONSOLATA MAESANO – La Piovra, una tra le più longeve e famose fiction nostrane (che fino a qualche anno fa si chiamavano sceneggiati e andavano in onda alle 20.30), va in onda l’11 marzo di ben 36 anni fa.
Il 1984 è iniziato da soli due mesi -durante i quali la mafia ha ucciso il giornalista Giuseppe Fava; Albano e Romina hanno vinto il festival di Sanremo e il governo Craxi ha abolito la scala mobile- quando gli schermi degli italiani iniziano a proiettare una tra le pietre miliari della televisione italiana.
Le vicende del commissario Cattani, per oltre 10 stagioni, tengono incollati allo schermo dai 10 ai 15 milioni di spettatori e vengono esportate in almeno 80 paesi stranieri. A distanza di quasi quattro decenni, l’affetto per la Piovra è inalterato: basta semplicemente fare un giro sui social per trovare una torre di babele di nostalgia che non conosce confini linguistici e temporali.
La Piovra, per i boomers nostalgici e per i millennials curiosi, è legalmente e parzialmente disponibile su raireplay (almeno per le prime 4 stagioni, che si concludono con la morte del protagonista, l’ispettore Cattani).
Bastano pochi minuti per capire i segreti del successo della fiction: si tratta di un vero e proprio spartiacque nella storia della televisione nostrana, tramite il quale il medium affronta per la prima volta il tema della mafia. E la Piovra lo fa in modo crudo, violento, diretto, realistico, mantenendo in equilibrio l’elemento romanzo con la cronaca reale. L’impatto emotivo, per la massa abituata al conforto di mamma rai, è parecchio forte, così come l’affetto che il mondo intero sviluppa per il commissario Cattani (magistralmente interpretato da Michele Placido).
L’eroe piace perché è umano: ha un matrimonio oramai alla frutta, soffre per il tradimento della moglie, la tradisce a sua volta, si innamora di una giovane tossicomane, Titti, che muore suicida. Cattani, arrivato dal Nord in Sicilia, inizia a indagare sull’ennesimo omicidio di mafia, costato la vita al commissario Marineo. In modo graduale ma determinato l’integerrimo poliziotto riesce a scoperchiare una fitta rete di corruzione che coinvolge alta finanza e aristocrazia in un circolo di riciclaggio di denaro sporco e di traffico internazionale di stupefacenti. Ma anche Cattani è costretto a scendere a patti con la criminalità, che non esita a rapire e stuprare sua figlia, la piccola Paola.
Le ultime due puntate della prima stagione sono dedicate al drammatico dilaniamento interiore dell’eroe, costretto a scegliere tra la sopravvivenza della bambina e l’integrità morale. Un Cattani sempre più tormentato inizia a sabotare le sue stesse indagini.
La fiction ha avuto un impatto culturale non indifferente: la Repubblica titola “La Piovra va alla sbarra” l’articolo sull’inizio del maxi processo, nel 1986.
Il quotidiano, nel corso degli anni, propone due interessanti esperimenti. Il giornalista Attilio Bolzoni guardò assieme ai poliziotti della squadra mobile di Palermo il finale della quarta stagione:
«I poliziotti non sentono più le domande, si mangiano le unghie, si mordono le labbra. Sono passate da poco le nove e la Piovra li ha ipnotizzati. Come se non avessero mai visto sparatorie, come se non avessero mai incontrato un mafioso, un pericoloso trafficante di eroina, il sicario di una famiglia. La città di Palermo nei suoi anni più bui. Sul teleschermo sparano, fuori i poliziotti veri sono immobili come statue»1Attilio Bolzoni, «Cattani ucciso come Cassarà. Con i poliziotti davanti alla tv», La Repubblica, 21/03/1989.
Il quotidiano chiese a Tommaso Buscetta di vedere e commentare il primo episodio della settimana stagione della fiction. Il giudizio fu severo:
«La Piovra vuole raccontare con realismo una storia di mafia. Purtroppo – mi sembra – rimane molto al di sotto della realtà. Ho letto in questi giorni che c’era chi non voleva nemmeno mandare in onda questo settimo film della Piovra. È offensivo, diceva, per i Siciliani. Umiliante per l’Italia. Io davvero non posso credere che si dicano ancora queste sciocchezze. Perché suggeriscono che sarebbe più umiliante per l’Italia la morte del commissario Cattani (che non è mai esistito) e non quella del dottor Giovanni Falcone (che è esistito davvero in carne e ossa). Come se la morte del commissario Cattani fosse un avvenimento internazionale e la fine del dottor Falcone una vicenda di paese; come se gli affari (finti) dei mafiosi nella Piovra fossero in tutto il mondo e quelli dei Corleonesi in carne e ossa faccende di un villaggio di campagna. Io non posso credere che qualcuno in buona fede o degno di ascolto possa sostenere che un film come la Piovra danneggi qualcosa o qualcuno»2di Tommaso Buscetta, testo raccolto da Giuseppe D’ Avanzo, «””Ma la vera piovra è molto più crudele», La Repubblica, 06/03/1995.