di CONSOLATA MAESANO
C’è un’antica e nota leggenda la quale collega Favignana, la splendida isola siciliana dell’arcipelago delle Egadi, alla nascita delle tre organizzazioni criminali italiane: la mafia, la ‘ndrangheta e cosa nostra.
Proviamo ad entrare nel vivo del mito, che inizia attorno al xv secolo, quando sull’isola trapanese (soggiogata alla dominazione spagnola) sbarcano tre cavalieri. Si tratta di tre fratelli, di origine ispanica: Osso, Mastrosso e Carcagnosso. Un trio di assassini, le cui mani sono sporche del sangue di colui che ha disonorato la sorella e proprio sull’isola trascorrono quasi 30 anni (per 29 anni, 11 mesi e 29 giorni, a voler essere precisi), non è ben chiaro se in prigionia o in latitanza.

Quel che è certo, in tutte le versioni del mito, è che trascorsi trent’anni le strade dei fratelli si dividono. Parte dunque da qui l’embrionale impulso alle tre criminalità organizzate italiane, col trio impegnato a diffonderne le regole in zone diverse: la mafia nasce in Sicilia a seguito del passaggio di Osso, la ‘ndrangheta ha i natali in Calabria con l’arrivo di Carcagnosso, la camorra sorge a Napoli con l’avvento di Mastrosso.
Come ogni leggenda degna di tale nome, anche il mito di Osso, Mastrosso e Carcagnosso contiene degli elementi di verità, dei riferimenti a fatti realmente accaduti.
In primis, la cornice storica, ossia la dominazione spagnola dell’isola siciliana, destinata a durare per due secoli (dal 1516 al 1713).
Ma soprattutto la Garduna, di cui i tre fratelli erano membri: essa è un’associazione costituita a Toledo attorno al 1417, una società segreta e criminale, da cui avrebbe preso spunto la camorra.
In questo mito ha notevole rilevanza anche la numerologia: i tre fratelli giungono nell’isola trapanese a bordo di una barca con 5 vele (come i membri onorati di ciascuna società) e 7 marinai (quante erano le leggi primarie dei loro associati).
L’impatto del mito è destinato a non estinguersi nel corso dei secoli, specie per la ‘ndrangheta: si parla dei tre fratelli anche (ma non solo) nel terzo codice dell’organizzazione, rinvenuto dalle forze dell’ordine a Reggio Calabria nel 1926, all’interno del quale i cavalieri vengono accostati a Gesù Cristo, San Michele Arcangelo e San Pietro (per codice si intende la trascrizione delle ritualità che regolano l’inserimento all’interno della ‘ndrangheta, i giuramenti, le normative e i ruoli interni).
Di esempi se ne possono fare parecchi altri e molto più recenti. Le cronache forniscono l’imbarazzo della scelta:
«Li “battezzano” nei casolari di campagna, in carcere, nelle periferie metropolitane. A San Luca o a Toronto, a Gioia Tauro o a Berna ancora oggi tagliano loro “la coda” ricordando “i cavalieri Osso, Mastrosso e Carcagnosso”. […]. Giurano, citando conti e condottieri, di rinnegare anche la madre e fratelli, di ucciderli se necessario. Lo fanno mentre mandano a memoria goffe litanie.» (Giuseppe Baldessaro, «Tutti in cerchio recitiamo antiche litanie mentre il dito viene inciso e una goccia di sangue cade sul viso di San Michele Arcangelo…», La Repubblica, 01/03/2015)