Antonino Scopelliti. Talento e radici
Forse, prima di venir ucciso in quel lontano pomeriggio del 9 agosto del 1991, il giudice reggino Antonino Scopelliti sta pensando all’importante appuntamento giudiziario previsto per la fine di quell’anno. In Cassazione si terrà a breve il primo Maxi Processo a Cosa Nostra. Lui stesso si è offerto per rappresentare la pubblica accusa: è «per vocazione portato ad occuparsi di questioni molto serie e molto complesse», spiega lo stesso procuratore generale della Cassazione Vittorio Aloi, qualche anno dopo.
Al momento, comunque, Scopelliti si gode quei pochi e meritati giorni di ferie. Location la casa dei genitori, nella centralissima Via Risorgimento nel cuore del suo piccolo paese d’origine, Campo Calabro, dove inizia già a studiare le numerose carte per il procedimento: il tempo c’è, ma la mole è tanta e Scopelliti si è raccomandato con gli uffici di Roma affinché almeno la prima parte lo raggiunga il più presto possibile, tramite la polizia ferroviaria fino a Villa San Giovanni e da lì in poi coi carabinieri.
Magari sta pensando proprio alla sua famiglia. Ai genitori Anna e Domenico, a suo fratello Francesco, che è titolare di una farmacia a Squillace, a sua sorella Rosetta, che invece insegna lettere al liceo scientifico di Reggio e a sua figlia Rosanna: ha 7 anni, papà Nino sta cercando di insegnarle ad andare in bici senza rotelle.
Magari sta pensando alla sua amata Campo Calabro, dove avrebbe presto fatto ritorno dal mare se non fosse stato ucciso con due colpi di fucile in testa, che lo freddano a bordo della sua nuova bmw all’altezza di Piale, a Villa San Giovanni.

Antonino Scopelliti. Il dolore e la rabbia
Scopelliti vive a Roma ormai da anni, ma nonostante la brillante carriera è rimasto molto legato alle origini:
«Mio figlio era una persona amabilissima e ben voluta da tutto il paese. Quando arrivava a Campo Calabro venivano a trovarlo tutti e lui si faceva in quattro per le loro esigenze. E tutti uscivano sorridenti dall’incontro con lui», dichiara il padre alla Magistratura, pochi giorni dopo l’agguato al figlio.
Mai Scopelliti avrebbe immaginato che, pochissimi giorni dopo, i suoi concittadini avrebbero portato “a spalla” il suo feretro. Che tutti di lì a poco si sarebbero recati presso la chiesa di Santa Maria Maddalena per l’ultimo struggente saluto, che durante i funerali di Stato qualcuno avrebbe urlato ad alcuni agenti: «Andatevene, non abbiamo bisogno di voi. Lo guardiamo noi il nostro Nino. Prima lo lasciano ammazzare e poi mettono 50 uomini a guardarlo».
O forse sì, chi può dirlo? Scopelliti ha già detto un secco “no” alla criminalità organizzata. Aveva rifiutato 5 miliardi di lire per “raddrizzare” la requisitoria contro i boss siciliani. Se temesse modi molto più drastici per fermarlo? Due o tre giorni dell’omicidio, un amico cerca di raggiungere il giudice alla guida per salutarlo. Scopelliti inizia a sbandare, a frenare di scatto e a ripartire all’improvviso, come se temesse un agguato. Poi, capendo che si tratta di un amico, si tranquillizza e ricambia il saluto.
Pochi giorni dopo, il giudice incontra davvero sulla sua strada volti tutt’altro che amichevoli. In un primo momento le prime, ignobili voci liquidano frettolosamente l’omicidio come un suicidio, un incidente oppure una «questione di donne».
Antonino Scopelliti. Nessun colpevole per la sua morte
A 31 anni di distanza, il suo omicidio non ha ancora mandanti ed esecutori. Negli anni ‘90 sono stati istituiti due processi: uno contro Riina e 7 boss siciliani, l’altro contro Provenzano ed altri 6 boss, con assoluzione in Appello.
Per approfondire clicca qui
Consolata Maesano