Gennaro Musella e Domenico Cannata.
Due imprenditori del reggino.
Due schiene dritte, due bocche in grado di pronunciare un forte e secco “no” di fronte alla prepotenza della ‘ndrangheta.
Due vite spezzate in drammatici attentati, per i quali continua a non pagare assolutamente nessuno, dopo decenni. Due corpi completamente dilaniati dalle bombe.
Due famiglie che non sanno darsi pace e che, a distanza di anni, continuano a chiedere giustizia e a portare avanti la memoria di chi ha pagato un prezzo altissimo, per l’unica colpa di aver preteso legalità e trasparenza.
I punti in comune tra le drammatiche storie di Domenico Cannata (ucciso a Polistena nel 1972) e Gennaro Musella (assassinato a Reggio Calabria nel 1982) sono tanti.
Domenico Cannata, residente a Polistena, è un imprenditore nel settore del marmo, la cui famiglia rifiuta decisa il versamento di somme di denaro ai boss locali, che hanno già preteso con insistenza 250 milioni al suocero, proprietario di terre e frantoio1Luciana de Luca, “Ho visto mio padre ridotto a pezzi”, Il Quotidiano del Sud, 13/04/2016.

Gennaro Musella, originario di Salerno ma residente a Reggio Calabria, pretende appalti regolari per i lavori per la realizzazione del porto di Bagnara Calabra: i tentacoli criminali sono talmente asfissianti da impedirgli di partecipare alla gara (vinta, sia prima che dopo, da ditte siciliane), ma non riescono comunque a impedirgli di firmare un esposto in procura. I carabinieri del nucleo operativo di Reggio Calabria, in un rapporto all’autorità giudiziaria riguardante proprio d’appalto sul porto di Bagnara, denunciano un’associazione tra la ‘ndrangheta calabrese e la mafia catanese, oltre che politici, imprenditori e funzionari del genio civile di Reggio Calabria2Luciana de Luca, “Quel corpo offeso chiede giustizia”, Il Quotidiano del Sud, 21/09/2016.

Entrambi i professionisti non vogliono piegare la propria dignità e il frutto di anni di sacrifici agli interessi dei criminali: tutti e due, per questo motivo, vengono barbaramente freddati tramite attentati dinamitardi, di fronte alle proprie famiglie:
«Due cariche di tritolo sono state fatte esplodere all’alba a Polistena, in uno stabile di Piazza della Repubblica. La seconda ha ferito gravemente Domenico Cannata, di 47 anni, che poche ore dopo è deceduto all’ospedale. Il Cannata si trovava a letto quando esplose la prima carica davanti alla porta di ingresso del bar proprio sotto la sua abitazione. Si è alzato e ha aperto la finestra per chiamare aiuto, ma una seconda carica esplosiva, che era stata collocata sul davanzale, lo ha colpito in pieno petto. Il Cannata è stato subito soccorso e accompagnato all’ospedale, il suo corpo era orribilmente straziato. È morto alle 5 di mattina. Degli attentatori nessuna traccia. Secondo gli inquirenti, la prima carica di tritolo è stata un tranello per far uscire il Cannata, che abitava al primo piano dello stabile. Appena il marmista si è affacciato alla finestra, infatti, è esplosa la seconda scarica la quale era stata attaccata una miccia più grande. Gli attentatori hanno collocato i tempi delle due esplosioni con massima precisione3La Stampa, 17/04/1972».
Morte simile e orrenda anche per Gennaro Musella:
«Alle ore 8.35 l’ingegnere Musella, come era solito fare, è sceso dalla sua abitazione in via Apollo, nel centro cittadino, e si è messo al volante della sua Mercedes 240 diesel. La moglie, al balcone, gli ha rivolto un saluto, l’ultimo. Il professionista ha inserito le chiavi e scaldato la vettura per qualche istante. Inserita la prima, aveva percorso meno di un metro quando era una potente carica, collocata sotto l’automobile, è esplosa uccidendolo sul colpo. La vettura è stata scaraventata dall’altra parte della strada. Oltre dieci auto parcheggiate nella zona hanno riportato seri danni, mentre i palazzi adiacenti hanno avuto le finestre rotte e i portoni divelti. Il boato è stato udito in tutta la città. Giuseppe Marrapodi, 58 anni, Demetrio Sicari, 62, e altri due passanti, tra cui bimbo di 8 anni, hanno riportato lesioni, fortunatamente superficiali, a seguito dello scoppio4e.l, “dilaniato da una bomba nell’auto: 4 feriti, evitata la strage”, La Stampa, 04/05/1982».
Anche il seguito è purtroppo simile.
Entrambe le famiglie attendono ancora che la giustizia individui mandanti e esecutori. Nel 1988 l’omicidio di Musella viene archiviato contro ignoti, per poi venir riaperto nel 1993, senza tuttavia arrivare a processo.
Lo status di vittime di mafia, per i due, arriva decenni e decenni dopo: Gennaro Musella, ucciso nel 1982, viene riconosciuto come tale solo del 2009. Il tempo, tuttavia, non spegne né il dolore né la rabbia dei familiari. Queste le parole della figlia Adriana Musella:
«Quello che ho voluto riscattare in questi anni è stato il cittadino comune, quell’uomo che è stato fatto a pezzi ingiustamente. Perché nel nostro paese in tanti hanno la memoria corta e si rischia di morire ammazzati e cadere nell’oblio. Se le famiglie non si mettono in gioco, queste persone saranno dimenticate per sempre. Non sarà certo lo Stato ad aiutare questo percorso di recupero della memoria. Mio padre è stato riconosciuto vittima di mafia 27 anni dopo la sua morte: se io non avessi lottato tanto, lo Stato si sarebbe ricordato di lui? Io con papà, con quella persona mortificata nel corpo e nell’anima, ho preso un impegno, perché la sua morte ingiusta non venga dimenticata. Io credevo nella giustizia, oggi ci credo molto meno5Luciana de Luca, “Quel corpo offeso chiede giustizia”, Il Quotidiano del Sud, 21/09/2016»
Domenico Cannata, assassinato nel 1972, deve invece aspettare il 2005. La figlia Teresa ha fondato l’associazione Piana Libera, che riunisce i familiari delle vittime di mafia:
«La costante di tutti gli omicidi è che non hanno mai trovato giustizia, si parla sempre di ignoti e non si è mai potuto svolgere un processo contro qualcuno. Non abbiamo neanche potuto guardare in faccia chi ci ha ammazzato un padre, un figlio, un fratello6Luciana de Luca, “Ho visto mio padre ridotto a pezzi”, Il Quotidiano del Sud, 13/04/2016»
Consolata Maesano