di CONSOLATA MAESANO –
Da Bagnara Calabra, piccola ma incantevole perla della Costa Viola reggina, sino ai palcoscenici di tutto il mondo, un po’ ovunque il destino si accanì spesso contro Mia Martini, riservandole un dolore (crudele) per ogni successo (meritato).
Minuta, raffinata, sensibile, con una voce di una potenza ancora disarmante, nonostante si sia tragicamente spenta più di un quarto di secolo addietro.
Padre Adesso, E non finisce mica il cielo, Piccolo Uomo, La Costruzione di un amore: ogni capolavoro di Mimì racconta una cicatrice della sua anima, dal rapporto conflittuale con la figura paterna sino al tentativo di suicidio ad appena 22 anni; dalla tormentata storia d’amore col cantautore Ivano Fossati ai dolorosi interventi alle corde vocali; sino l’ostracismo e alle crudeltà di tanti falsi amici del mondo dello spettacolo, senza dimenticare la tragica scomparsa.
I temi trattati dalla giovane nel primo disco, Oltre la collina (del 1971), lasciano riserve meramente contenutistiche: il suicidio, la religione, la solitudine, il rapporto complicato con la figura paterna sono ancora tabù nel nostro paese. Tuttavia, l’album viene presto considerato un capolavoro e si trasforma nel trampolino di lancio della giovane Mimì.
Iniziano anni costellati da capolavori indimenticati.
L’anno successivo Mia Martini propone Piccolo Uomo e si classifica prima alla Mostra internazionale di musica leggera di Venezia con Donna Sola; nel 1973 vince il Festivalbar con Minuetto: la sua canzone più venduta rimane nella classifica dei dieci dischi più venduti per 22 settimane consecutive, tanto da farle aggiudicare un Disco d’oro.
Mimì inizia una storia d’amore, immensa e tormentata, con Ivano Fossati, fondata
«[…]su basi sanguinolente e catastrofiche […]. E avevo il mio bel da fare con questo campo minato. Avevo un contratto con un’altra casa discografica, e ho dovuto romperlo a causa sua. Perché era geloso, dei dirigenti, dei musicisti, di tutti. Ma soprattutto era geloso di me come cantante. Diceva che mi voleva come donna, ma non era vero perché infatti non ha voluto nemmeno un figlio da me, e la prova d’amore era abbandonare del tutto anche la sola idea di cantare e distruggere completamente Mia Martini […]1https://www.vocedinapoli.it/2019/02/13/quella-canzone-di-pino-daniele-per-mia-martini-che-fece-ingelosire-ivano-fossati/»
Per lei il compagno scrive La costruzione di un amore, di una struggente poetica.
Arriva presto anche il calvario fisico, nel 1981, anno in cui subisce due delicati interventi chirurgici alle corde vocali, che la rendono completamente afona per un anno e che le cambiano il timbro, rendendolo più roco: «Mi hanno operata tenendomi la bocca aperta mediante un apparecchio d’acciaio che mi ha ferito tutto il palato. È stato un periodo dolorosissimo».
Dopo tale ritiro forzato dalle scene, Mia Martini torna più determinata che mai.
Nel 1982 si presenta a Sanremo col brano E non finisce mica il cielo (anch’esso scritto da Fossati): l’interpretazione colpisce così tanto la giuria che per lei istituisce appositamente il premio della critica (che dopo la morte della cantante diventerà il premio Mia Martini).
Tutto attorno, probabilmente per invidia e ignoranza, le persone del suo stesso ambiente iniziano a farle terra bruciata.
«Un programmatore radiofonico e televisivo ha detto chiaramente ai miei discografici che è molto meglio che io stia alla larga dalla sua troupe, perché porto jella. Ormai ho smesso anche di odiarli e di soffocare la mia rabbia e di disperarmi […] La mia vita era diventata impossibile. Qualsiasi cosa facessi era destinata a non avere alcun riscontro e tutte le porte mi si chiudevano in faccia. C’era gente che aveva paura di me, che per esempio rifiutava di partecipare a manifestazioni nelle quali avrei dovuto esserci anch’io. Mi ricordo che un manager mi scongiurò di non partecipare a un festival, perché con me nessuna casa discografica avrebbe mandato i propri artisti. Eravamo ormai arrivati all’assurdo, per cui decisi di ritirarmi».
Nonostante le malvagità e l’ignoranza gratuite, Mia Martini si rialza.
Nel 1989 ottiene un successo senza precedenti a Sanremo col brano Almeno tu nell’universo (scritto diciassette anni prima, ma rimasto inedito) e si aggiudica per la seconda volta il Premio della critica.
Sempre nel 1989 vince il disco d’oro al Festivalbar col brano Donna e la Targa Tenco come miglior interprete femminile dell’anno.
Nel 1990 il palco dell’Ariston le assegna nuovamente il premio della Critica per l’eccezionale interpretazione de La nevicata del ’56.
Nel 1991 la cantante duetta con Roberto Mutolo il brano Cu ‘mme.
Nel 1992 arriva seconda al Festival di Sanremo con Gli uomini non cambiano.
Nel corso degli anni varie ipotesi sulle possibili cause del decesso si sono rincorse, la prima è quella della Procura che dichiara di aver ritrovato il corpo della cantante riverso a terra, nella sua abitazione, con il braccio proteso verso un apparecchio telefonico intenta ad ascoltare musica da un mangianastri. Subito dopo la morte, viene disposta un’autopsia sul corpo di Mia, che rivela l’utilizzo di sostanze stupefacenti, il tutto poi smentito negli anni dalle sorelle. A questa versione se ne aggiungono altre: la prima è quella che Mimì fosse malata a causa di un fibroma all’utero, la seconda è che il tutto fosse stato un suicidio a seguito delle maldicenze diffuse nell’ambiento dello spettacolo. Negli ultimi anni la sorella Loredana ha più volte parlato di una situazione familiare complicata, ha spesso raccontato di un rapporto burrascoso tra suo padre, lei e le sorelle, compresa Mimì, accennando a lui come possibile causa di quel tragico evento2https://tg24.sky.it/spettacolo/musica/approfondimenti/morte-mia-martini.
Loredana Berté descrive il padre con toni furenti, un ritratto impietoso. I racconti lasciano immaginare un’infanzia devastata dalla presenza di un padre violento, ai limiti della perversione3https://www.repubblica.it/2009/05/sezioni/persone/loredana-berte/loredana-berte/loredana-berte.html