Giancarlo Siani: uno tra i primi giornalisti a essere uccisi dalla camorra.
Difficile dire se resti tutto o resti nulla dopo il suo omicidio.
Resta un nutrito mazzo di rose rosse sulla sua scrivania, presso la redazione de Il Mattino: «Le rose stanno sfiorendo – dichiara ai colleghi il capocronista Gianni Campili il giorno dopo l’agguato, il 24 settembre del 1985 – ma continueremo ad onorare la memoria di Giancarlo. Ho il suo viso davanti a me, i suoi occhi che mi fissano. Terremo fede a quanto abbiamo scritto in questi giorni. La sfida della camorra non ci intimorirà. Continueremo a denunciare complicità, affari illeciti e connivenze politiche1Ermanno Corsi, “Commozione al Mattino: “La sfida non ci fa paura”, La Repubblica, 26/09/1985″”».
Accanto alle rose restano un centinaio di articoli a firma di Giancarlo Siani sulla malavita di Torre Annunziata: aveva scritto di una strage avvenuta il mese prima, mentre uno degli ultimi lavori parlava dei “muschilli”, i bambini venditori di droga: «Ripubblicheremo – ribadisce a caldo il vice capocronista Roberto Marra – i pezzi di Giancarlo Siani su Torre Annunziata e chiederemo agli inquirenti di dirci a che punto sono le indagini sulle cose da lui denunciate. Già da domani pubblicheremo, a puntate, il saggio-inchiesta di Siani comparso, qualche tempo fa, sull’osservatorio camorra. Ci sembra questo il modo migliore per dimostrare che il delitto non ci avvilisce e che intensificheremo il nostro impegno su questo fronte»2Ivi.
Dopo 7 colpi di pistola che colpiscono la testa del giornalista ventiseienne restano solo i funerali, a cui partecipano circa duemila persone. «Giancarlo Siani ha scritto l’ultimo articolo con il sangue. Intendeva il giornalismo come testimonianza civile e morale – dichiara il vescovo Antonio Ambrosanio, vicario generale di Napoli – Ma gli assassini hanno sbagliato perché da oggi noi tutti, anziani e giovani, vogliamo dimostrare di essere pronti a raccogliere l’eredità del giovane cronista nel tentativo di riaffermare il primato della fiducia nella vita sulla barbarie della morte»3Ermanno Corsi, “In duemila ai funerali”, La Repubblica, 26/09/1985.