di CONSOLATA MAESANO –
Perché le fiction sulla mafia sono così tante e così seguite? Un dato di fatto, questo, che crea stupore e che appare inspiegabile. L’elenco delle serie tv che hanno portato sugli schermi degli italiani vicende criminali è lungo. Storie diverse, accumunate da un elemento narrativo: la spettacolarizzazione del fenomeno, che sfocia nella mitizzazione. Mafiosi presentati come eroi, con uno stile retorico e melodrammatico, con clichè superati o forse mai esistiti: il mafioso con la coppola che si esprime soltanto in un dialetto poco verosimile, la Sicilia arcaica e arretrata.
Tano Cariddi e la sua fame di potere, protagonisti de La Piovra (per approfondire, clicca qui: http://www.levitediastrea.it/televisione/la-piovra-poliziotti-palermo-pentito/):
«Un programma televisivo che vuole essere popolare, e dunque non mancano intrecci amorosi, ambienti patinati, psicologie semplificate, ricorso a tutti stereotipi di genere: ingredienti che, secondo alcuni, rischiano di avere la meglio sugli aspetti di denuncia e trasformare troppo la lotta alla mafia in un “polpettone” televisivo, delegandone a esso la soluzione1Pezzini, I., La figura criminale nella letteratura, nel cinema, e in televisione, in Storia d’italia, Einaudi, Torino, 1987, p. 87.». .
Totò Riina, elevato quasi a eroe nazionalpopolare col Capo dei Capi e con tante, troppe pagine facebook seguite da ragazzini:
«C’è il rischio di creare un’iconografia alla rovescia su Totò Riina che emana un fascino un po’ sinistro – avverte il Pm Antonio Ingroia – certe rappresentazioni finiscono per propagare il fascino sinistro dell’eroe del male e una certa idea dell’immutabilità e dell’eternità della mafia stessa, difficile da vincere in una terra incline al fatalismo come la Sicilia2Intervento di Antonio Ingroia a Viva Voce su Radio 24, 28/11/07».
Tonio Fortebracci, che fa impazzire uomini, donne, settentrionali, meridionali, giovani e anziani con L’onore e il rispetto e la sua carrellata di stereotipi sulla sicilianità:
«Se una parte del pubblico televisivo si è appassionata proprio alla storia raccontata dalla fiction, una parte degli utenti della rete si è indignata di fronte a quella che considera un’offesa ai cittadini siciliani, che affermano a gran voce che, sebbene in Sicilia esista ancora la mafia e si parli ancora di ambienti in cui essa è ben radicata, non si può sostenere che tutta la Sicilia si riduca a questo. Ragioni comprensibili, quelle dei siciliani, che lamentano di essere messi in cattiva luce non solo di fronte all’Italia ma anche all’estero3www.movietele.it».
Senza dimenticare le varie Squadra Antimafia – Palermo oggi; Baciamo le mani, Palermo – New York 1958.
Fino alle serie estere, coi Soprano che fanno impazzire gli States e fanno piangere le comunità italo americane, per il tragico affresco di chi proviene da famiglie emigrate nel nuovo continente. La National Italian American Foundation denuncia come
«la serie faciliti gli stereotipi tipici degli italo americani, dipinti come mafiosi, adulteri e portatori di una sottocultura che ha come principali caratteristiche la violenza e la volgarità intellettuale4www.niaf.org».
Serie tv che sollevano mille polemiche ma il cui share è sempre alle stelle. Ma come è possibile che prodotti con caratteristiche simili abbiano così tanto successo? Il dibattito è sempre molto animato, con posizioni spesso forti e contrastanti tra loro. Secondo il Fatto Quotidiano
«Forse dovremmo accettare l’idea che gli italiani siano diventati un popolo mediocre, provinciale e di basso livello culturale, ammettendo che il guaio della tv italiana (e non solo della tv, in realtà) è il destinatario, non il messaggio5https://www.ilfattoquotidiano.it/2012/09/13/ascolti-tv-problema-e-destinatario/351398/».
Colpisce molto l’analisi di Claudio Fava, autore de Il capo dei capi nonché figlio di Pippo Fava, giornalista assassinato dalla mafia nel 1984 (per approfondire clicca qui: http://www.levitediastrea.it/vittimedimafia/8-giornalisti-8-vittime-di-mafia/)
«Il problema non è rappresentato dalle fiction che raccontano la mafia, ma dalla mafia. Non è la mitizzazione di oggi il problema, ma il fatto che la mafia ha avuto una capacità di seduzione in questo paese da decenni. Lo ha avuto spesso colmando difetti, lacune e povertà create dall’assenza delle istituzioni. Riina non è stato popolare tra i suoi perché lo racconta un film, ma perché nella realtà ha costituito in Cosa Nostra un contropotere fortemente radicato, capace (e lo dico anche per la storia che porto addosso) di raccogliere e mantenere il consenso. Questa non è responsabilità delle fiction, ma del fatto che non abbiamo saputo articolare una risposta culturale nei confronti della mafia. Se vogliamo che perdano fascino i mafiosi ci vuole un lavoro di profondità culturale. […] La storia dei corleonesi non passa solo attraverso la ribellione di Totò Riina, giovane quattordicenne, ma piuttosto dal racconto della “macelleria” di cui si sono serviti per anni per conquistare il potere, tenere i rapporti clandestini e solidi con esso tentando di sovvertire le istituzioni. Ai ragazzini di Corleone non fa male questa realtà, ma sentire che c’è un pezzo di paese che obbedisce a questa realtà. Non fa male la fiction in sé, ma un Ministro della Repubblica che dice: “si può convivere con la mafia”. In molti hanno preso alla lettera queste parole6http://www.lplnews24.com/2009/10/fiction-mafie-e-liberta-dinformazione.html».