di CONSOLATA MAESANO
La trilogia del Padrino è un prestigioso omaggio della settima arte all’omonimo romanzo di Mario Puzo.
Le tre pellicole (del 1972, del 1974 e del 1990) raccontano le vicende della famiglia siculo-americana Corleone, dal 1945 al 1979.
Dal controllo del gioco d’azzardo e della prostituzione nella New York dell’immediato dopoguerra; alla gestione degli alberghi e dei casinò nel Nevada e nella Cuba rivoluzionaria sino all’alta finanza internazionale e agli scandali bancari vaticani. Tutti gli affari del padrino, di Don Vito Corleone, sono scrupolosamente protetti da un’intricata rete di corruzione, che coinvolge poliziotti, avvocati, sindacalisti, giudici e politici.
Fila tessute talmente ad arte che è pressoché impossibile, per la giustizia, sciogliere la patina legalitaria dell’impero dei Corleone, costantemente minacciato da numerosi intrighi, da violente faide con le altre famiglie, da tradimenti e da attentati sanguinosi (delle cui scene sono funesto presagio le arance), di cui sono spesso vittime e protagonisti i tre figli del Padrino: l’iracondo Sonny (che viene trucidato nel primo film dai rivali a cui l’ha venduto il cognato), il debole Fredo (che tradisce la famiglia e verrà giustiziato da chi ha il suo stesso sangue) e l’erede del titolo di padrino, Michael, destinato a restare solo con la sorella Connie.
La trasposizione cinematografica è una pietra miliare della storia del cinema, costruita con cura e passione da talenti indiscussi. La Paramount, anche per risparmiare, affida la regia a un giovane italoamericano: Francis Ford Coppola (i cui nonni paterni sono originari di Bernalda, a Matera) ha appena 32 anni quando accetta di girare il Padrino. Coppola insiste molto con la Paramount affinché venga scritturato Al Pacino, ancora sconosciuto ma già magnetico, per il ruolo di Michael; mentre Puzo incalza la dirigenza per la scelta di Marlon Brando nelle vesti, indossate con un talento irreplicabile, di Vito Corleone.
Nel secondo film (1974), incentrato sulla giovinezza del Don, la scelta cade invece su Robert De Niro. Entrambi gli attori vinceranno l’Oscar per l’interpretazione dello stesso personaggio. Immense anche le performance delle attrici: una giovanissima Diane Keaton interpreta la fidanzata/moglie di Michael Corleone, mentre la sorella del regista, Talia Shire (l’Adriana di Rocky) lascia senza fiato tutti, a partire dal fratello che, scettico sulle sue performance, le aveva fatto usare il cognome del marito, salvo poi confermarla per gli altri due film.
Il tramonto di un già anziano Don Vito Corleone, nel primo film (1972), è segnato da un tris di eventi sanguinosi: l’attentato ai suoi danni, al quale riesce a sopravvivere nonostante una pioggia di proiettili; a cui segue subito il secondo tentativo di ucciderlo, nell’ospedale dove versa ancora in gravissime condizioni e l’omicidio del primo figlio, Sonny, assassinato dai rivali. Don Vito «è all’antica», come spiegano le altre famiglie a Michael, non riesce ad accettare che i tempi cambino (e gli affari pure), è sempre più segnato dalla vecchiaia, dalle pallottole e dal lutto, dalle preoccupazioni per il destino dei figli.
Riacquista la fermezza della gioventù solo durante la stipula della pace con le altre famiglie: «E se capitasse un incidente a Michael, o se si pigliasse una palla nella testa da parte di qualcuno della polizia, o se lo trovassero impiccato nella sua cella, e persino se fosse colpito da un fulmine… qualcuno dei presenti ne sarebbe responsabile… E allora io non perdono.»
Michael sta infatti tornando dalla Sicilia, dove si era nascosto a seguito dell’esecuzione dei rivali. Ha insistito fortemente per uccidere i nemici, dopo aver salvato per un pelo la vita del padre. Questi eventi sono destinati a cambiare radicalmente la vita del giovane, che abbandona le medaglie militari e gli esami di legge e prende il posto del padre.
Il prezzo, per il titolo di Padrino, è la solitudine. Michael, già nel primo film, perde la moglie (“Non lo volevo un altro figlio tuo, Michael: è stato un aborto, proprio come il nostro matrimonio.Un atto sacrilego e malvagio!”); nel secondo ordina l’omicidio del fratello Fredo, colpevole di averlo tradito, subisce anche la perdita dell’anziana madre.
La solitudine è resa egregiamente anche con un flashback. Il Michael adulto, seduto senza compagnia a un tavolo, sfuma e si sovrappone con un’immagine del passato identica: il giovane figlio di Vito è solo, i suoi fratelli hanno appena lasciato la tavola per accogliere il padre sulla porta, col classico “Happpy birthday to you!”. Michael però, che ha appena litigato col fratello Sonny (“papà compie gli anni e tu ti sei arruolato?”), non li segue.
Il terzo film (1990) si apre con la scena della casa nel Nevada, simbolo della famiglia, in totale abbandono a seguito del divorzio con Kay e con l’immagine del Padrino oramai brizzolato e davvero provato per il diabete. Il terzo capitolo racconta il tramonto di Mike, oramai in balia dei sensi di colpa: “Fredo!” chiama disperato mentre collassa, scoppia in lacrime quando confessa al prete il suo omicidio: “ho fatto ammazzare il figlio di mia madre, il figlio di mio padre!”, cerca di riavvicinarsi disperatamente a Kay (“avevo un destino già segnato”), designa il nuovo padrino, suo nipote Vincent, il figlio illegittimo di Sonny: “Da questo momento userai il cognome Corleone”.
La scena della morte di Michael, che spira nel giardino e casca dalla sedia, richiama molto quella del padre Vito, che collassa anch’egli all’aperto.