di CONSOLATA MAESANO
«Con me non la spunteranno, tutti gli appalti devono essere regolari»
Molti ricordano di aver spesso sentito dire a Giovanni Trecroci, il vicesindaco nonché assessore ai lavori pubblici di Villa San Giovanni, barbaramente freddato il 7 febbraio 1990, questa frase. Parole che, a quasi trent’anni di distanza, danno l’idea delle pressioni dei clan sull’assetto urbanistico della città dello Stretto. In quel periodo la posta in gioco che Trecroci, in qualità di assessore ai lavori pubblici, si ritrova a dover gestire è infatti davvero alta: sono ormai imminenti i lavori per la metanizzazione di Villa San Giovanni e di altri dodici comuni limitrofi; nemmeno due mesi prima i sindaci di Villa, Reggio e Messina hanno siglato un accordo di programma per 250 miliardi di lire per il potenziamento degli approdi navali. Fin da subito le forze dell’ordine indicano nell’attività amministrativa di Trecroci la chiave dell’attentato: è probabile, secondo gli investigatori, che Trecroci non abbia voluto subire o accettare condizionamenti sugli appalti. Trecroci, a cui già nel 1983 erano state tagliate le gomme dell’auto, avrebbe dunque pagato con la vita la propria intransigenza. L’omicidio del vicesindaco va infatti collocato nel contesto della seconda guerra di ‘ndrangheta, scoppiata nel territorio reggino dal 1985 al 1991. Solo nel 1990 i morti sarebbero stati più di trecento, tra cui, appunto, l’assessore villese: «un professionista prestato alla politica», come lo definisce il giurista Salvatore Berlingò poco dopo l’omicidio. A Villa San Giovanni viene subito proclamato il lutto cittadino, con la Camera ardente allestita presso il comune. Il sindaco, Domenico Aragona, guida una delegazione di amministratori comunali che viene ricevuta dal prefetto reggino Alberto Sabatino. Una nota diffusa dal primo cittadino afferma che l’assassinio di Trecroci «rende impossibile qualsiasi forma di serena convivenza civile e improrogabile la necessità di garantire alla società degli onesti la possibilità di amministrare». I politici della città domandano di non essere lasciati soli a opporsi «al dilagare della violenza» nonchè «un intervento più deciso e qualificato dello Stato». Il Ministero dell’Interno invia il commissario straordinario antimafia Vincenzo Sica. L’omicidio di Giovanni Trecroci è tutt’ora irrisolto: l’unica cosa certa, oltre la sua integrità, sembra essere l’oblio che circonda la sua memoria a oltre 30 anni dalla strage.