Antonino Agostino e Ida Castelluccio
Giovani, innamorati, freschi di nozze e luna di miele. Neppure 50 anni in due, eppure già (quasi) in tre. Quella di Antonino Agostino e di Ida Castelluccio, nella torrida e lontana estate palermitana del 1989, inizia come la migliore delle favole, ma il finale è quello di un incubo terribile. Lui è un poliziotto di 29 anni che collabora coi servizi segreti per la cattura dei grandi latitanti; lei è più piccola, ha solo 20 anni ed è incinta. La morte arriva in una sera di festa, il 5 agosto del 1989: i due sposini si stanno recando a festeggiare i 18 anni di Flora, sorella di lui e grande amica di lei, presso il villino di famiglia a Villagrazia di Carini. Non ci sarà alcuna festa; solo sangue, dolore e morte, tramite due killer in moto. Lui fa in tempo a urlare alla moglie di mettersi in salvo, lei grida agli assassini: “Vi conosco!”.
A tutt’ora non si conoscono mandanti o esecutori della strage, di cui – a distanza di 33 anni – non restano che dubbi e dilemmi.
In primis quello delle carte investigative sparite dall’abitazione delle vittime la sera stessa della loro morte, documenti talmente importanti da spingere Antonino – che negli ultimi tempi sospettava di venir seguito – a custodire nel portafoglio un biglietto: “Se mi succede qualcosa guardate nell’armadio”. Il messaggio viene trovato dal padre di Agostino, che racconta più volte di due uomini, di cui uno con la faccia butterata, impegnati a cercare suo figlio, poco prima dell’omicidio, presentandosi come colleghi. L’uomo, per protesta contro la mancanza di verità e giustizia, non si taglia la barba da allora.
Niente certezze, solo ipotesi: quella per cui stesse indagando sul fallito attentato dell’Addaura al giudice Falcone del 21 giugno di quell’anno; un altro filone indica come movente il fatto che egli avesse visto tutori dell’ordine, forse dei servizi segreti, in compagnia di mafiosi.

Antonino Agostino e Ida Castelluccio, “martiri patrimonio della Nazione”
Intensa e drammatica l’omelia funebre, pronunciata da padre Ennio Pintacuda:
Non siamo qui per celebrare un funerale, ma un martirio che più degli altri grida vendetta, perchè più degli altri ha visto versare sangue innocente. Sì, perdoniamo: ma vogliamo giustizia. Sappiamo distinguere dove ci sono artefizi e polveroni: tra qualche anno non vengano a dirci che questi omicidi politici in realtà sono stati soltanto dei suicidi. Palermo non è più Sagunto. Palermo è semmai un frande spazione per la liberazione che viene dalla verità, come dice il Vangelo. La verità sui delitti politici che permetterà di conoscere le responsabilità e di evitare altri martiri. Se Antonio Agostino fosse stato dominato dal potere oscuro non avrebbe subito il martirio. Attraverso esso ci accorgiamo che Palermo è un territorio di guerra nel quale è necessario schierarsi anche individualmente.
La lotta deve partire dalla società civile per coinvolgere le istituzioni per alimentare dall’interno il contrasto. Non è vero che non si conosce chi e perchè ha determinato questo lutto. E proprio il potere losco che vuole continuare ad esercitare attraverso trame oscure il suo potere su Palermo e da qui sull’intero paese: colpendo due giovani sposini il progetto criminoso è rimasto quello di sempre: l’attacco alla liberta e alla democrazia. A Palermo però si è cominciato a cambiare e vale la pena continuare. Si è cominciato a respingere quell’unanimismo che appiattisce e fa abbassare la guardia. Ecco allora perchè Palermo deve essere un modello per il resto del paese, così come questi martiri sono patrimonio di tutta la Nazione1Saverio Lodato, “Perdoniamo, ma vogliamo la verità”, L’Unità, 08/08/1989.
di Consolata Maesano