di CONSOLATA MAESANO –
Sergio Cosmai, servitore dello Stato e vittima di mafia.
Direttore del carcere di Cosenza, perde la vita in un agguato a soli 36 anni.
Si stava recando all’asilo, a riprendere la figlia Rossella di soli 3 anni. A casa lo aspettava la moglie Tiziana Palazzo: è incinta del secondo figlio, che nascerà un mese dopo, già orfano di padre. Si chiamerà Sergio, come il genitore mai conosciuto. L’unica colpa dell’uomo è quella di aver cercato di portare legalità e trasparenza nella struttura carceraria, sottraendola ai comodi e agli interessi dei mafiosi. Originario di Barletta, Cosmai perde la vita il 12 marzo del 19851Dizionario Enciclopedico delle Mafie in Italia, a cura di Claudio Camarca, AA VV, Castelvecchi Editore, 2013.
Un proiettile soltanto, sui dieci che il sicario gli ha sparato contro, lo ha colpito alla nuca attraversando il cervello fino alla fronte dove ha cozzato contro la parete ossea. Vittima dell’agguato, avvenuto in pieno giorno in una strada periferica di Cosenza, il direttore delle locali carceri giudiziarie, il dottor Sergio Cosmai, 35 anni, nativo di Bisceglie, dall’ ottobre 1982 nel capoluogo bruzio a capo di un reclusorio difficile dove in passato sono stati registrati anche veri e propri scontri a fuoco tra bande rivali, tentate esecuzioni, ferimenti. Perché gli hanno sparato? Il dirigente della squadra mobile di Cosenza, Nicola Calipari, propende per una vendetta di qualcuno dei clan mafiosi locali. Vengono riportati a galla alcuni episodi “contestati” di cui il direttore del carcere, considerato un duro, in questi due anni di permanenza a Cosenza è stato protagonista: dai numerosi trasferimenti disposti per riportare l’ordine in carcere, alla scoperta recente di un mini traffico di droga portata da familiari a qualche detenuto. L’uomo in passato aveva ricevuto delle minacce. Le indagini puntano decisamente sulla malavita locale2Pantaleone Sergi, “Cosenza: 10 colpi di pistola contro il direttore del carcere”, La Repubblica, 13/03/1985.
I fatti descrivono Cosmai come un direttore integerrimo:
Tra l’altro scoprì che la moglie di un detenuto aveva ottenuto l’esclusiva della fornitura di generi alimentari proprio al carcere. L’appalto venne revocato, il marito della donna, naturalmente, fu trasferito. In particolare, tra gli interventi messi in atto per ristabilire l’ordine nella struttura di via Popilia a Cosenza ci fu quello della mancata concessione dell’ora d’aria supplementare chiesta dai detenuti calabresi. A questa decisione, il 21 giugno 1984, seguì una violenta protesta dei detenuti, subito sedata, a cui fece seguito la proposta del dottor Cosmai di incontrare una loro rappresentanza. Fu in quel momento che l’allora capo indiscusso della criminalità locale, Franco Perna, capo dell’omonima ‘ndrina e che pare continuasse a esercitare il suo potere pur stando in cella, rifiutò l’offerta e contro-rilanciò chiedendo che fosse il direttore ad andare da lui. Cosmai rifiutò l’invito di Perna e fu proprio a seguito di quel rifiuto che venne decisa la condanna a morte del Direttore3www.interno.gov.it.
La giustizia per Cosmai è arrivata decenni dopo la sua morte:
Arriva la sentenza di Cassazione per i più clamorosi fatti di ‘ndrangheta che hanno insanguinato la città di Cosenza tra gli anni Ottanta e la fine degli anni Novanta. Confermati gli ergastoli che erano stati inflitti in Appello. Erano tredici in tutto. Al vaglio della Cassazione c’erano in tutto una quarantina di imputati, chiamati in causa per altrettanti omicidi commessi durante la sanguinosa guerra di mafia tra i clan “Pino-Sena” e “Perna-Pranno”. Tra gli agguati spicca quello del direttore del carcere di Cosenza Sergio Cosmai4Luciana de Luca, “Definitivi gli ergastoli per i boss di Cosenza Verdetto di Cassazione per faida e delitto Cosmai”, Il Quotidiano del Sud, 24/03/2014.
Dopo un trentennio, è arrivata anche la Medaglia d’oro al Merito Civile alla Memoria:
“pur consapevole del grave rischio personale, attivava una ferma azione di contrasto nei confronti delle feroci cosche ‘ndranghetiste locali, volta al ripristino e al mantenimento della disciplina e della legalità dell’istituto penitenziario. Per tale coraggiosa azione, tesa a recidere posizioni di privilegio tra i reclusi, cadeva vittima di un efferato agguato ad opera della criminalità organizzata, immolando la propria vita ai più nobili ideali di legalità e di giustizia”5www.interno.gov.it.